27.10.08

Culti ammessi

C'è una cosa molto grave che sta avvenendo nel nostro Paese.
Una situazione che avvicina pericolosamente il sentire comune di oggi (impropriamente detto "buon senso") e la deriva più atroce, liberticida e discriminatoria del fascismo.

In molte città, soprattutto nel norditalia, le amministrazioni comunali escogitano penosi espedienti per impedire la libera associazione per preghiera o attività comunitarie degli immigrati di religione islamica.
Ciò che trovo preoccupante è il fatto che a queste situazioni si oppone un atteggiamento (tanto da parte della gente comune che di componenti del clero cattolico e di politici di centrosinistra) che si vorrebbe liberale: noi siamo favorevoli a forme di culto di qualsiasi religione, a patto che le "altre" religioni rispettino le nostre regole.

Abbiamo qui un primo punto: differenza sostanziale di trattamento tra cattolici ed altre religioni.

Quali sono queste "regole"? Semplificando molto, direi rinuncia a radicalismo o fondamentalismo, rinuncia al proselitismo, rinuncia ad attività politiche.
Questo, secondo molti, faciliterebbe l'integrazione di queste persone nella nostra società.
In altri termini: i "diversi" dovrebbero essere non troppo diversi, non troppo visibili, non troppo critici... per il loro bene.
Da qui ad ipotizzare la possibilità di un controllo di ordine pubblico degli altri culti il passo è breve.

Tra le leggi razziali emanate dal governo Mussolini, trova posto anche la famigerata legge sui culti ammessi (24 giugno 1929, n. 1159). La formula "culti ammessi", che fin dal codice penale Zanardelli del 1889 aveva designato onnicomprensivamente tutti i culti, cattolico compreso, veniva ora riferita esclusivamente alle confessioni di minoranza. Essa portò una serie di gravi restrizioni alla libertà dei culti e diede avvio un periodo di sempre crescente ostilità verso le minoranze religiose. La libertà di discussione in materia religiosa era limitata dalla spada di Damocle del divieto di propaganda religiosa; i culti venivano ammessi a condizione di non professare "princìpi contrari all’ordine pubblico o al buon costume", e la concreta verifica di ciò si traduceva necessariamente in un controllo statale sui princìpi religiosi professati; era normale, per esempio, la presenza dell'ispettore prefettizio durante lo svolgimento delle riunioni di culto. (per una trattazione più approfondita, consiglio questa pagina tratta da un ampio testo di Antonio Zappino)

A me pare che tanta liberalità di oggi assomigli pericolosamente alla logica che ha ispirato la mussoliniana legge sui culti ammessi.
Chi parla di integrazione nella nostra società sta di fatto dicendo che sono gli altri che devono spogliarsi della loro individualità, che devono disintegrarsi per entrare per la porta stretta di casa nostra. Cioè l'esatto contrario del senso del lemma società: l'unione di soci, di eguali, impegnati in un'impresa comune.