21.10.08

Erica e i suoi fratelli


Ho letto l'inizio di romanzo Erica e i suoi fratelli di Elio Vittorini.
Si tratta di un testo del 1936, interrotto dallo scrittore siciliano a causa del suo coinvolgimento emotivo nelle vicende della guerra civile in Spagna. Esso venne pubblicato in forma di racconto nel 1956.
La storia racconta della dura vita della ragazzina Erica, in un misero dopoguerra di povertà diffusa. Vive in una casa abbandonata e cadente con i due fratellini; il padre è al nord, dove si arrabatta tra un lavoro e l'altro, ed è raggiunto poi dalla madre, che lo sa malato. Erica si arrangia con le poche provviste che la madre ha lasciato loro prima di partire, circondata dalla presenza densa, magmatica, delle altre donne del quartiere: vecchie e giovani, povere e benestanti, sole o con compagno e figli. Alla fine, quando non rimane più nulla in dispensa, Erica non trova altra soluzione che prostituirsi.

Nella dinamica del pensiero delle donne intorno alla bimba Erica, si sviluppa e si consuma un rituale collettivo implacabile, irreversibile, fatale. Il racconto è magnifico: con esattezza meticolosa, con chiarezza impressionante di visione, Vittorini rende manifeste le remote pieghe inconfessabili del moralismo, della compassione, della solidarietà, il meccanismo atroce del capro espiatorio.
L'oggettività non giudicante del modo di raccontare fa risaltare con più stridore la doppia faccia dell'azione collettiva. Vittorini si sofferma spesso a raccontare i pensieri dei personaggi; solo pochi anni più tardi, in Conversazione in Sicilia, questa attenzione scompare: pensieri e sentimenti si manifestano nella parola che crea ponti o aggredisce, nell'agire, nel modo di essere. Tuttavia, già in Erica e i suoi fratelli il processo interiore individuale e collettivo delle donne scava materialmente il baratro in cui la ragazza precipita.

Oggi, nella gente, vedo emergere chiaramente dinamiche di isolamento, di aggressività verso gli altri sotto la spinta della paura, dell'istinto di sopravvivenza, di conservazione della posizione o dei beni, per profitto.... Quello che è diverso rispetto al mondo raccontato di Vittorini - e forse, in un certo senso, migliore - è che le pulsioni egoistiche non hanno più altrettanto bisogno di ammantarsi di compassione o vicinanza solidale (poco importa se autentica o soltanto di facciata), non si nascondono pudicamente dietro un atteggiamento aperto, generoso, protettivo, amichevole, ma si esprimono pubblicamente nel distacco, nel silenzio, nel sospetto.
In più, eleggiamo a nostri modelli etici (e perfino li deleghiamo a governare le nostre vite) personaggi che innalzano a valori da agire nella società l'edonismo, la competitività, l'esclusione, lo scarico di responsabilità, la slealtà, la furbizia disonesta: elementi essenzialmente disgreganti, antisociali.
Le conseguenze si vedono nella violenza quotidiana delle nostre vite: dalla durezza dei rari rapporti con gli estranei (nei negozi, negli uffici pubblici...) fino all'orrore delle botte, alle coltellate, ai morti, ed al loro rovescio, il panico.
Una violenza insita in ognuno ed ognuna di noi.

Un sito dedicato ad Elio Vittorini: vittorininet.it