2.11.08

Quale mondo ci aspetta

Un testo di Franco Berardi (Bifo) dalla lista Rekombinant.

(...) Quella che si apre alla società italiana nel quadro della crisi globale che è precipitata negli ultimi due mesi è una prospettiva drammatica: i licenziamenti stanno già colpendo i lavoratori precari, quelli che tanto chi se ne frega manco li avevamo conteggiati. Poi sarà la volta dei lavoratori che credono di essere garantiti. I tagli che devastano la scuola saranno estesi poi anche alla sanità (il presidente del consiglio lo ha già annunciato).
Cosa accadrà quando si diffonderà la consapevolezza del fatto che le politiche liberiste hanno distrutto gran parte della civiltà sociale costruita nel secolo passato, e stanno ora producendo un cataclisma che i padroni stanno facendo pagare ancora una volta ai lavoratori? Il copione più probabile lo vediamo già scritto, e assomiglia a quello che venne messo in scena nella Germania degli anni '30: la classe dominante che ha preparato questa catastrofe, lucrando sulle privatizzazioni e sullo sfruttamento del lavoro precario, la classe che ora si presenta con il piattino in mano a chiedere finanziamenti per le banche in crisi e per le aziende in difficoltà, quella classe si prepara a indicarci il colpevole della crisi: sono i romeni, sono i marocchini, sono gli africani, come un tempo erano gli ebrei.
Il bombardamento mediatico che da trent'anni riempie le orecchie e il cervello della maggioranza ha prodotto un tale rimbambimento che molti crederanno che il nemico è il povero più povero di te che ti vuole rubare il posto di lavoro. Ma l'inganno non durerà a lungo. E' possibile ingannare tutti per un breve periodo ed è possibile ingannare qualche povero ingenuo per molto tempo. Ma non è possibile ingannare tutti per l'eternità.
Dopo un periodo (che potrà essere lungo o breve, ma che sarà doloroso e violento) è probabile che la gente riprenderà a pensare con la propria testa.
L'anno che sta finendo ha visto scomparire la sinistra dal Parlamento. Ma forse la sinistra era già sparita da tempo, perché da tempo non era più capace di leggere le trasformazioni sociali, né di comunicare con il sentimento maggioritario, né di interpretare le potenzialità implicite nella mutazione tecnologica e culturale su cui il capitalismo ha espresso da tempo una netta egemonia.
Dopo il crollo elettorale di aprile la sinistra ha tentato di mettere insieme i cocci, ma finora non ha saputo intrecciare la dimensione politica con quella sociale, non ha saputo sintonizzarsi sulle prospettive di ricomposizione sociale.
Invece di attorcigliarsi sulle identità passate, occorre ragionare sulle possibilità future di ricomposizione di un corpo sociale oggi disgregato.
Non possiamo sopravvivere senza strumenti per la comprensione, non possiamo camminare senza una mappa capace di indicarci la dislocazione delle forze sociali, le contrapposizioni e le potenziali alleanze, le linee di una possibile ricomposizione.
Non possiamo pensare al futuro della città se non sappiamo immaginare il prossimo destino del mondo.