14.4.09

Lettera a Vittorio

Caro Vittorio,
questa lettera non ti arriverà mai, perché da qualche giorno non cammini più su questa terra che probabilmente hai amato troppo.

Io non ti ho conosciuto, ma ti immagino. Credo che mi perdonerai se ti immagino magari un po' diverso da com'eri davvero. Oramai sei superiore a queste cose.

Ho anch'io un figlio della tua età. Non è facile fare il padre, sai? Io vedo il mio ragazzo, ne sento gli slanci verso la vita. A 13 anni davvero tutto dovrebbe essere ancora possibile. La vita ti romba nelle vene, i primi amori ti fanno tremare il cuore, ti senti un grande grandissimo che può ancora tutto, e al tempo stesso un cucciolo, ti secca ma a volte vorresti essere abbracciato dalla mamma, protetto o aiutato dal babbo. Perché ti senti uno straccio di cielo in mezzo al letamaio di questo mondo, questa città sporca e cattiva, questa società di grandi che sono in realtà impotenti burattini, che portano dentro la frustrazione di quello che sognavano da tredicenni e a cui per vigliaccheria hanno rinunciato, grandi minuscoli burattini che diventano potenti violenti aguzzini di chi è più debole di loro. Grandi dietro l'impugnatura di una rivoltella o di un coltello. In realtà, poveri tredicenni spauriti e vigliacchi che non hanno avuto il coraggio di lottare per i loro sogni, costretti dentro il corpaccione troppo ingombrante di un trentenne, quarantenne, cinquantenne....
Grandi falliti che ad un figlio che amano più di loro stessi non sanno dare quello che si sono negati, la possibilità di un sogno, e cercano di comprargli cose e cose e cose, nell'illusione che di questi sogni ci si possa dimenticare: telefonini, computer, iPod, motorini... Per poter dire un giorno: "Com'è possibile che sia diventato depresso? (o tossico, o violento, o ....), non gli ho fatto mancare nulla!"
Ed in cosa consisterà mai questo sogno?
Sarà sicuramente qualcosa di straordinario.
Sì, lo è: giustizia, libertà, possibilità di essere quello che si sente nel cuore, di non stare nella paura. Di diventare quello che si desidera: magari pompiere o magari pittore.
Come dire ad un ragazzo di 13 anni, che si ama più della propria vita, che tutto questo non glielo puoi dare, perché l'hai negato perfino a te stesso?

Carissimo Vittorio, tutto questo tu l'avevi visto.
Avevi visto tuo padre che aveva ceduto, s'era coltivato un gran pelo sullo stomaco, ma ne aveva avuto in cambio una vita agiata.  E pretendeva ancora di spiegarti la vita!
E poi avevi visto tuo fratello naufragare, cedere, e rimanerne schiacciato: vittima di quella perversa filosofia della vita, massacrato a bastonate e giustiziato con un colpo di pistola alla nuca. Giustiziato: perché nel mondo allucinato dei grandi questa è la giustizia.

Allora hai fatto quello che nessuno ti può togliere: hai agito la più grande, la più totale delle libertà.
Giovanissimo Bartleby, tu ci hai insegnato un cosa pazzesca: ci hai mostrato che qui, ora, se tutti noi ne avessimo il coraggio, basterebbe dicessimo un no per cambiare il mondo. Per instaurare una nuova società, basata sulla lealtà, sulla verità dei rapporti umani. Che in tutti noi grandi omarini non c'è neanche un atomo del fegato, del coraggio, della grandezza che c'era in te. Ci hai mostrato che tutte le nostre incertezze, la nostra impotenza, i lamenti per la situazione, non sono altro che inerte e colpevole acquiescenza ad una situazione che ognuno, portando il suo mattoncino, ha contribuito a creare. Ognuno: povero o ricco, comunista  fascista, galantuomo o mariuolo.

Hai vissuto solo tredici brevissimi anni, un solo soffio di vento, ma di te veramente si dirà: è stato un uomo che non è vissuto invano.
Caro Vittorio, io ti piango e ti ringrazio.




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